venerdì 12 luglio 2013

Anteprima: L'estate nera di Remo Guerrini

In libreria dall'11 luglio 2013

Titolo: L'estate nera
Autore: Remo Guerrini
Editore: Newton Compton
Pagine: 432
Prezzo: 9,90

DA QUESTO ROMANZO IN USCITA IL FILM EPPIDEIS,
CON GIANMARCO TOGNAZZI

ALL'INIZIO SEMBRAVA SOLO UN GIOCO
UN’ESTATE COME TANTE. UN PAESINO COME TANTI.
UN GRUPPO DI RAGAZZINI INSOLITAMENTE CRUDELE.
TRENT’ANNI DOPO, NESSUNO DI LORO HA DIMENTICATO QUELL’ESTATE…

Descrizione:
Massimino, Eva, Attila, Saturnina e poi Canavesio, Federico, Santino e Giusi sono ancora dei bambini durante quella torrida estate del ’62. Il giorno scherzano e scorrazzano per le strade di Altavilla, un paesino del Monferrato, e la sera dopo cena Carosello e a letto. Hanno solo dodici anni ma si sentono già grandi su quel muretto e perseguitare Beniamino il matto, per sentirlo imprecare e urlare, all’inizio è solo un gioco innocente e nessuno pensa davvero che finirà male durante quella maledetta domenica d’agosto, mentre imperversa un terribile temporale. Passano trent’anni e il macabro ritrovamento dei resti di Beniamino nel cimitero di Altavilla rimette in moto i ricordi. E quei ragazzi del 1962, che la vita ha disperso e allontanato, sono costretti a ritrovarsi nei luoghi della propria infanzia. Diventando i protagonisti di una imprevista, improvvisa, orribile resa dei conti. 

L'autore:

Remo Guerrini. È nato a Genova nel 1948 ed è giornalista da quasi quarant’anni. È stato direttore di «Epoca», «Il Giorno», «Focus», «Primo Piano» e dell’edizione italiana di «Selezione dal Reader’s Digest». Attualmente dirige il mensile «Meridiani». Nei primi anni Ottanta è stato, con Andrea Santini, il primo italiano a pubblicare spy-story nella collana Segretissimo. È autore di numerosi romanzi, racconti gialli, thriller e libri di fantascienza, alcuni dei quali sono stati tradotti in Francia e Germania. Tratto da L’estate nera, è in uscita nelle sale italiane il film Eppideis con Gianmarco Tognazzi.

HANNO SCRITTO DE “L’ESTATE NERA”

«Qualcosa di arcaico e dolce dà musica alla piccola odissea degli incubi quotidiani.»
Alberto Bevilacqua, Il Corriere della Sera

«Una rivelazione italiana che va oltre le etichette.»
Oreste del Buono, La Stampa

«Un libro ben fatto a livello di thrilling ma che, in un certo senso, esce fuori da ogni  etichetta.»
Edmondo Dietrich, la Repubblica

«Ci sono tutti gli ingredienti del giallo, Ma […] l’estate nera è molto di più. Un affresco spietato, sanguinolento e carico di emozioni forti del mitico 1962.»
Mario Paternostro, Il Secolo xix

«Una vicenda di dannazione e di crudeltà […], tanto universale quanto immediatamente riconoscibile.»
Danilo Arona, Il Piccolo

DAL PROLOGO:
Il padre di Santino ammazzava di lunedì.
Alla domenica sera, qualsiasi fosse la stagione, si metteva a letto più presto del solito. Aspettava che finisse Carosello, ciondolava un po’ guardando scorrere i titoli e tutto il cast del Caso Maurizius, elettricisti compresi, ripeteva a bassa voce le sconcezze sulle cosce delle Kessler che aveva sentito al mattino al bar Italia, ridacchiavamentre sua moglie brontolava “piano, che il bambino ti sente”, e alla fine si alzava da tavola.
Era un uomo grosso, con i capelli tagliati all’umberta, la faccia quadrata e le labbra sottili. A quell’ora gli era già venuta una barba lunga e dura: quando Santino si rizzava in punta di piedi, per baciarlo prima che se ne andasse in camera, si sentiva raspare sulle guance.
La televisione era incassata in un angolo del tinello color legno di ciliegio: una Telefunken marrone dorato che la madre di Santino aveva scelto proprio perché s’intonava con il colore della fòrmica, tutta intorno. Bisognava restare seduti a tavola, per guardarla. L’avevano portata un paio d’anni prima su una Seicento multipla, con scritto Telesistem sulle portiere. Un giovanotto in cappa blu, più da droghiere che da elettrotecnico, se l’era caricata in spalle ed era salito fino al terzo piano, mentre tutti i perdigiorno del paese stavano a guardare. Poi aveva fissato con il filo di ferro l’antenna alla ringhiera sul balcone, aveva trafficato con una manopola di plastica fissata sul fianco dell’apparecchio e, dopo una dozzina di clic clac, lo schermo si era illuminato ed era comparso un cerchio bianco, grigio e nero con scritto Rai. «È il monoscopio. Lo levano quando si comincia», aveva detto il giovanotto e se n’era andato, lasciando accesa la tivù. C’era voluto un bel po’ di coraggio a spegnerla, perché il cerchio bianco, grigio e nero avrebbe anche potuto sparire per sempre.
Chi voleva continuare a guardare la televisione dopo cena doveva comunque restare a tavola, mentre la mamma sparecchiava e tirava via tovaglioli, piatti e i bicchieri presi con i punti della benzina, uno per ogni pieno di Mobil Super. Santino allora si metteva in ginocchio sulla sedia impagliata, e s’ingozzava di tutto quello che andava in onda, compresa Tribuna Politica.
Il papà ammazzava più d’estate che d’inverno, ma era logico. «Da luglio in poi c’è più gente, ci sono i villeggianti, mangiano di più e la carne finisce prima», aveva spiegato una volta sua madre che, se ce n’era bisogno, era sempre pronta a prendere il coltello e a dare una mano.
Succedeva sempre nello stesso modo, in realtà. Il trattore arrivava al mattino verso le sei, con i fari ancora accesi anche se il sole già stava salendo dietro alle colline di San Lorenzo. Era un Landini verde scuro, coperto di polvere e fango seccato. Lo si sentiva da lontano perché aveva il motore fatto di un solo enorme cilindro, e faceva un rumore profondo e lento, un punf-punf inconfondibile e inarrestabile, che per tutta l’estate rimbombava nei cortili, giacché il Landini veniva affittato anche per fare andare le trebbiatrici.
Quando udiva quel punf-punf Santino scalciava la coperta imbottita che la mamma non metteva mai via prima di maggio, scendeva dal letto e correva a sbirciare attraverso lepersiane: la sua stanzetta era proprio a perpendicolo sul portone della macelleria, e si poteva guardare di sotto.
Il rimorchio del Landini aveva ancora le ruote con i copertoni di gomma tolti a un Dodge avanzato dalla guerra. Nel cassone, il vitello teneva il muso imbiancato dalla bava contro una stanga di ferro. Gli avevano già bendato gli occhi e puzzava di letame e di paglia inzuppata di piscio. Se ne stava tranquillo, però: agitava le orecchie e cercava di muovere a destra e a sinistra il testone fasciato negli stracci di una vecchia camicia lisa.
Poi il trattore andava in retromarcia e spingeva il rimorchio proprio contro la porta della macelleria. In strada non c’era ancora nessuno, e i colpi degli zoccoli del vitello sul cassonerimbombavano come tuoni.




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